Le associazioni Earth, Lega per l'Abolizione della Caccia (Lac), Associazione Vittime della Caccia hanno, segnato il primo punto contro il calendario venatorio predisposto dal Comitato faunistico regionale e impugnato davanti ai giudici amministrativi. Il Tar, con un'ordinanza, ha accolto la domanda cautelare degli ambientalisti sospendendo l'efficacia del calendario e fissando l'udienza di merito per il 19 marzo prossimo, a stagione venatoria pressochè conclusa. Ora, per consentire la caccia nell'Isola, l'assessore regionale dell'Ambiente, Andrea Biancareddu, dovrà riconvocare il Comitato faunistico che dovrà varare a tempi di record il nuovo calendario.
La strada, però, è tutta in salita perché uno dei motivi del ricorso degli ambientalisti è la mancanza del parere dell'Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ed è anche quello che ha convinto i giudici a concedere la sospensiva. Secondo gli ambientalisti, il Comitato, quindi, dovrà chiedere questo parere all'Istituto per la Protezione ambientale e solo successivamente produrre un nuovo calendario venatorio, altrimenti potrebbero esserci nuovi ricorsi.
"Questo fatto era stato da noi segnalato anche durante le riunioni del Comitato faunistico - spiega Stefano Deliperi, delegato per la Lac - Ora attendiamo di capire cosa farà la Regione, ma ci sono tempi tecnici che dovranno essere rispettati. Nel frattempo questa decisione del Tar è l'ennesima conferma che la politica ambientale in Sardegna è negativa".
Nel ricorso, oltre alla mancanza del parere dell'Ispra, si censurano l'assenza di un piano faunistico-venatorio e della procedura di valutazione di incidenza ambientale riguardo all'attività di caccia nelle aree classificate quali Siti di importanza comunitaria (Sic) e/o Zone di protezione speciale (Zps).
LA RIUNIONE- E' stato convocato per domani alle 15, nella sede dell'assessorato dell'Ambiente, il comitato regionale faunistico. All'ordine del giorno le comunicazioni del presidente, l'assessore Andrea Biancareddu. Secondo quanto si è appreso, gli uffici regionali hanno chiesto il parere dell'Ispra la cui mancanza ha provocato la decisione dei giudici amministrativi mettendo a rischio l'apertura della stagione prevista per domenica 22. Il parere dovrebbe arrivare entro questa settimana, prima quindi di domenica. Senza il nuovo calendario, supportato dal parere obbligatorio dell'Istituto per la protezione ambientale, infatti, non sarà possibile dare il via libera alle doppiette. Anche il Tar, nell'accogliere la domanda cautelare di sospensione del provvedimento, ha ritenuto necessaria l'acquisizione di questo parere.
Le associazioni dei consumatori tornano all'attacco sulla gestione dei canili comunali, da tempo affidati per lo più ad AVCPP.
"Perché il Comune continua a proteggere le inefficienze?"
Riprende la battaglia sui canili comunali. Una guerra tra associazioni che va avanti da anni e che oggi sembra riesplodere, con la giunta insediata da pochi mesi. Da un lato abbiamo sempre l'AVCPP (Associazione Volontari Canili di Porta Portese), onlus che dal 1997 gestisce gran parte delle strutture sparse sul territorio, dall'altro sempre Codici e Earth che dalla parte dei consumatori attaccano su più fronti.
Prima questione tocca la procedura "di affidamento diretto senza bando di gara" che ha spinto già più di un anno fa le due associazioni a inviare una diffida al sindaco Alemanno. Il 30 settembre scorso la convenzione con AVCPP è stata rinnovata con canone ribassato a 472.420 euro bimestrale, contro quello precedente di 633.333. E oggi tornano all'attacco sottoponendo il problema all'attenzione del sindaco e dell'assessore all'ambiente, Estella Marino.
"Perchè il Comune continua a proteggere le inefficienze? - scrivono a mezzo stampa - Sono tutti fuori norma e senza autorizzazione sanitaria i canili della Capitale. Gestiti da sempre da un’unica associazione di volontariato, che di volontariato ha solo il nome, visto che conta ben 106 dipendenti e che non si è mai dovuta preoccupare di superare un bando pubblico, visto che la gestione di ben 6 milioni di euro annui (cifra che il Comune contesta parlando piuttosto di 3,8, ndr) le è stata affidata direttamente con lo strumento della convenzione, in spregio alla normativa che vorrebbe, per quella cifra, essere indotta una gara europea".
VERSO IL BANDO... In realtà l'affondo arriva a qualche settimana da quella che sembrerebbe la svolta richiesta. La strada verso il tanto agognato bando pubblico parrebbe aperta. Il 27 novembre il Comune ha approvato, con determinazione dirigenziale, una procedura comparativa per l'individuazione di organismi da convenzionare con Roma Capitale, per tentare di ribassare ulteriormente i costi di gestione e equiparare le risorse tra le diverse associazioni, che fino a oggi hanno ricevuto in proporzione ai servizi offerti.
...."AD ACCESSO LIMITATO" - Una "manifestazione d'interesse" alla quale, stando a quanto comunicato dal Dipartimento Tutela Ambiente, hanno partecipato un centinaio di realtà in vista della gara che dovrebbe partire a breve. Ma Codici e Earth contestano la procedura e i paletti che limiterebbero comunque l'accesso al bando: "Il comune restringe le possibilità alle sole associazioni di volontariato animaliste del Lazio che abbiano svolto negli anni precedenti eguale attività".
CANILE EX POVERELLO - Cambiare tutto per non cambiare niente? Questa l'idea delle due associazioni, che puntano il dito soprattutto contro la struttura di Vitinia. "Incredibilmente la convenzione comprende anche la gestione del canile ex Poverello di Vitinia , il quale è stato occupato illegalmente dall’associazione stessa più di un anno fa" - spiega Valentina Coppola, presidente di EARTH - "cioè il Comune paga l’associazione che lo ha defraudato di un bene pubblico".
In sintesi: il Comune annunciò la chiusura del canile nel novembre del 2012 decidendo per il trasferimento dei 139 cani presenti in strutture private.
Produrre ed esportare per massimizzare il profitto: così il business dei farmaci svuota le farmacie italiane.
Il caso del Leukeran, il farmaco antitumorale che l'Italia non conosce.
Leukeran, il farmaco "nascosto" all'Italia: così si specula sul tumore.
ROMA - Le aziende farmaceutiche producono. E più producono, più esportano. E più esportano, più l'Italia resta all'asciutto. Questo il circolo vizioso che riguarda tanti, troppi, farmaci che con una regolarità spaventosa, e preoccupante, finiscono all'estero lasciando gli scaffali delle farmacie italiane sempre più vuoti. Spesso a entrare nel vortice di speculazione e ricerca del profitto estremo sono i medicinali più innovativi, ad elevato valore terapeutico e quelli che non hanno un equivalente alternativo.
Così accade che in nessuna delle farmacie di Roma - 1048 per l'esattezza - sia possibile trovare il Leukeran, un farmaco antitumorale ad uso umano adoperato nel trattamento di linfomi non-Hodgkin e di adenocarcinomi ovarici. A denunciare la "stranezza" è l'associazione Earth, che ha ricevuto la segnalazione di un proprietario di un gatto malato - il farmaco è anche ad uso animale - disperato da giorni e giorni di ricerca. Una ricerca, naturalmente, fallita.
"Il mio è un pellegrinaggio - dice l'uomo alla presidentessa dell'associazione Valentina Coppola - chiedo farmacia per farmacia ma tutte mi rispondono che il Leukeran non c'è e non è possibile ordinarlo". "Ci siamo immediatamente informati - spiega la numero uno di Earth - abbiamo chiamato le farmacie della Capitale in ordine alfabetico e le risposte dei farmacisti sono state sbalorditive: 'Lo richiediamo tutti i giorni dallo scorso dicembre, ma non arriva. Ha mai sentito parlare di mercato estero?'".
Già, il mercato estero. "Il problema non è solo di Roma, ma di tutta Italia perché vendere farmaci all'esterno conviene ed è legale" spiega a Today.it, il Dr. Franco Caprino, presidente Federfarma Roma, che già nel luglio scorso aveva presentato un esposto alla Procura per chiedere di indagare sulle esportazioni parallele. "All'estero i farmaci costano molto di più e capire dove vanno a finire le enormi plusvalenze è praticamente impossibile". Una soluzione praticabile sarebbe alzare la produzione, ma i problemi potrebbero comunque non risolversi.
"Ci sono aziende che producono anche il 10 o il 20% in più" - confessa Caprino - "ma più producono, più esportano". Conseguire il profitto più alto possibile, quindi, sembra più importante che permettere alle persone di curarsi.
"Non credo che dietro tutto questo ci siano le case farmaceutiche" - analizza il numero uno di Federfarma Roma - "loro non avrebbero interessi perché annullerebbero il mercato in un Paese. Credo più sia 'colpa' di gruppi di persone o di farmacie che hanno la licenza da grossisti che riescono a straguadagnare esportando i farmaci all'estero". Ma come si è potuti arrivare ad una situazione che ha tutte le caratteristiche dell'emergenza?
"Gli errori più grandi sono stati due" - ricorda Caprino - "Il primo è stato accettare la normativa Ue sulle esportazioni parallele. Il secondo è stato dare la possibilità, con un intervento del governo 2006, alle farmacie di essere grossisti". Le vie d'uscita sono poche: "E' necessario un intervento forte del governo che obblighi tutte le parti in causa a soddisfare prima il fabbisogno interno". Da Palazzo Chigi però tutto tace: le farmacie italiane hanno sempre meno farmaci e l'unica strada percorribile resta l'acquisto in rete, con tutti i problemi connessi.
ARINO. I Giudici del Tar Molise hanno deciso che, a Cerro al Volturno, i cani possono continuare a circolare, giudicando illegittima l’ordinanza del Sindaco che, nell’estate 2012, aveva vietato agli animali la frequentazione degli spazi comunali, seppure fossero stati muniti di guinzaglio e di museruola. A protestare contro la decisione sindacale era stata l’associazione romana “Earth” ed oggi i Giudici amministrativi hanno confermato che ordinanze di questo genere possono essere firmate solo in caso di necessità estrema. Diversamente i loro precetti diventerebbero irragionevoli, illogici e sproporzionati rispetto al fine perseguito, soprattutto perché il provvedimento sindacale era conseguito ai comportamenti scorretti dei proprietari che non avevano provveduto alla raccolta degli escrementi. Perciò l’Amministrazione, più che gli animali, avrebbe dovuto sanzionare i padroni.
Con riferimento ai cani il Molise ha sempre alimentato le cronache, persino quelle nazionali. Dopo che, per anni, erano state disattese le norme che dispongono in ordine alla lotta contro il randagismo ed alla tutela del benessere animale, alla 20.a regione s’interessò “La Padania”. Il giornale della Lega nord dedicò diverse pagine all’accordo intercorso nel 2009 tra il Comune capoluogo e il canile di San Giuliano Milanese per il mantenimento di 330 animali sino al 2022. Il quotidiano, sempre polemico coi terùn, ritenne le cifre stanziate esorbitanti per le asfittiche casse molisane dal momento che – per compensare la “Tecnovet” dell’”ospitalità” concessa – Palazzo San Giorgio aveva posto in bilancio 29mila euro per il 2009, 96mila per il 2010 e altrettanti per il 2011. Dopo di che l’Azienda avrebbe percepito ancora 8mila euro al mese sino al 2022. Alla luce di certe cifre, il quotidiano ebbe buon gioco nel delineare il comportamento tenuto dall’Amministrazione del Comune capoluogo e fece divertire i suoi lettori ironizzando sulla bontà d’animo canìna ostentata dai campobassani.
Sin qui i fatti che poi, in via pratica, documentavano come il principale ente locale di una regione considerata off limit per gli animali di affezione per i tanti paesi in cui i cani vengono ammazzati con polpette avvelenate, ne manteneva centinaia ospitandoli in alberghi a 4 stelle. E tutto questo mentre la patria di Vincenzo Cuoco era stata classificata all’ultimo posto – assieme alla Calabria, alla Campania ed alla Sicilia – per il trattamento praticato nei confronti dei nostri migliori amici domestici. E che tutto fosse vero emergeva pure dagli èsiti di un sondaggio realizzato dall’Associazione italiana per la difesa degli animali e dell’ambiente con un migliaio di interviste rilasciate dai proprietari dei cosiddetti pets (in prevalenza cani e gatti, ma pure roditori, uccellini, testuggini, serpenti e pesciolini rossi).
Ai soggetti in questione erano stati posti diversi quesiti in ordine al benessere somministrato, tenuto conto pure dell’assistenza veterinaria prestata dal Servizio sanitario regionale. Ebbene, pare che – a concretare la differenza tra il Molise e le altre regioni – siano state, in primo luogo, le poche strutture pubbliche rese disponibili (canili e gattili); poi una situazione di “degrado”, corroborata dall’alto numero di randagi e dalla totale carenza di strutture quali le aree di sgambatura per i cani; infine, l’assenza di uffici (comunali o consortili) per i diritti degli animali nonché di attrezzati ambulatori veterinari, privati o pubblici. Pure in fatto di “ospitalità”, il Molise – con appena il 37% delle strutture agibili per gli animali da compagnia – è considerata una regione-cenerentola. Quest’altro dato emerge da un’indagine condotta su di un campione composto da circa 1.200 strutture agrituristiche diffuse lungo lo Stivale dove quelle che ospitano cani, gatti ed altri animali rappresentano appena il 68%. Le regioni più ospitali sono la Liguria (con il 77% degli agriturismi), seguita a breve distanza dalle Marche (76%) e dall’Emilia-Romagna (74%). (Claudio de Luca)